La libertà nella prospettiva delle scienze umane - La libertà del lettore e l'etica della letteratura
Servizio comunicazione istituzionale
Inauguriamo oggi una serie di incontri sulla libertà, che sarà firmata dai professori dell'ISI, l'Istituto di Studi Italiani dell'USI. In questa prima puntata, abbiamo chiesto al professor Stefano Prandi, Direttore dell’Istituto, di parlarci di libertà del lettore ed etica della letteratura.
Partiamo dal concetto di libertà del lettore. Come va inteso?
Si tende sempre ad attribuire un valore positivo ma un po’ banale alla lettura. “Leggi, che ti fa bene”, ci siamo sempre sentiti ripetere quando andavamo a scuola, come se si trattasse di un’attività sportiva. È vero, era un buon consiglio, ma bisogna capire che nell’incontro con un testo, in realtà, il lettore si misura – e talvolta si scontra – con una diversità, proprio come accade quando dialoghiamo con una persona che non la pensa come noi. Anche il testo è un “individuo”, ha una fisionomia ben precisa che ci sta di fronte in modo nient’affatto neutro: anzi, come osservava Jean Paul Sartre, ci lancia un appello rispetto a cui in un qualche modo siamo chiamati a rispondere. Lo può fare perché, pur essendo diverso da noi, il testo parla un linguaggio in gran parte comune al nostro, evoca argomenti che ci riguardano. Ecco che allora ogni lettore ha, sì, la libertà di leggere ciò che gli pare, o anche di smettere di leggere un libro che non lo appassiona o non suscita il suo interesse, ma è anche investito di una certa responsabilità, che consiste nel confrontarsi in modo sincero e profondo con quanto legge. D’altra parte, il lettore sceglie liberamente di accogliere il testo, di farlo entrare nella sua sfera più intima: come ha ben compreso George Steiner, la lettura in questo senso è un atto di ospitalità, un aprire la nostra dimora a uno straniero che ancora non conosciamo, e che potrebbe forse deluderci.
In che modo si realizza questo dialogo nel testo letterario?
Il linguaggio letterario non è un semplice contenitore da cui possiamo estrarre significati a nostro piacimento, come in un self-service, ma si configura in particolare come una vera e propria esperienza che può anche operare in noi delle trasformazioni significative. Il testo letterario ci pone di fronte a mondi possibili, a ipotesi di realtà che, anche se non sono vere, sono però verosimili; così facendo, esercita la nostra capacità di interpretare fatti e comportamenti con un domani potremmo confrontarci. Il testo è quindi una palestra dove viene messa alla prova la nostra intelligenza, il nostro intuito, e anche il nostro senso etico, perché siamo spesso sollecitati a formulare giudizi di carattere morale sui personaggi e le situazioni che l’autore ha creato. Come ha suggerito Franco Brioschi, l’atto interpretativo del lettore costituisce un esempio cristallino di «conoscenza pratica», ovvero di forma di sapere che utilizza la propria concreta individualità come strumento di misura. Non si tratta solo di un fatto estetico: la letteratura non si limita ad aggiungere un altro po’ di bellezza al mondo, ma si interroga, come ha osservato Tzvetan Todorov, «sul giusto e sull’ingiusto». Ponendosi vere domande, il lettore è esposto al dubbio, non ha paura di modificare i suoi punti di vista. Non è davvero libero chi cerca soltanto continue conferme a quello che si aspetta e che sa già. È purtroppo quello che abbiamo riscontrato in una larga parte dell’opinione pubblica in questi ultimi due anni, prima con la pandemia, ora con la guerra in Ucraina: queste “idee”, se così vogliamo chiamarle, sono impermeabili a qualsiasi dato di realtà, rimangono immutate anche se smentite dall’evidenza.
Nella sua Poetica, opera che sta alla base di tutte le successive riflessioni sul potere della parola, Aristotele aveva detto: «Sono più credibili [...] coloro che per la loro stessa natura si trovano in uno stato emotivo; più realmente agita chi è agitato e muove all'ira chi è adirato»; la poetica dunque, conclude Aristotele, è l'arte propria del «versatile» o dell'«esaltato»: il primo perché «adattabile», il secondo perché «portato a uscire da sé». È proprio in questo spazio aperto, in questa disponibilità dell'io a varcare il perimetro dei propri confini per andare alla scoperta del nuovo, del diverso, dell’altro, che si realizza la vocazione etica della letteratura. Come ha scritto il mio maestro Ezio Raimondi, nel dialogo tra testo e lettore accade qualcosa di paradossale: più il primo mostra la sua diversità rispetto al secondo, e più in quest’ultimo si intensifica la sensazione di prossimità ed empatia rispetto a ciò che legge: l'esperienza dello scrittore, dunque, che a volte è molto lontano nel tempo dal lettore, si trasforma in «memoria vivente». L’etica della lettura si rivela qui come un’esperienza di libertà, che si realizza «nel pieno riconoscimento dell'altro».
Che ruolo ha quest’esperienza di libertà della lettura e della letteratura nell’insegnamento universitario?
Un ruolo decisivo. La parola letteratura ha un senso frequentativo, indica un’azione ripetuta e costante capace di formare a poco a poco le nostre competenze e la nostra visione del mondo. Quasi tutte le cose più importanti della vita crescono lentamente, come fa un albero. Un giovane trova, nel mondo attuale, scarse occasioni di sperimentare questa «durata interiore», perché tutto è fulmineo, simultaneo, virtuale. Siamo investiti quotidianamente da un fiume in piena di informazioni contradittorie e spesso non verificate: il rischio dell’alienazione o del rifiuto totale è grande. Per questo ritengo sia più che mai necessario restituire allo studente il suo legittimo diritto di cittadinanza nel dominio della parola: soltanto attraverso una presa di coscienza della profondità storica e delle differenze portatrici di significato, egli riuscirà ad affrontare la sfida della complessità, superando le illusioni ingannevoli a cui si trova continuamente esposto. È in questo modo che potrà riconoscere e conquistare la propria piena singolarità di persona. In conclusione, credo che la cosa più importante che la letteratura può continuare ad offrire alla società attraverso le istituzioni educative sia un’“ecologia della mente” (Gregory Bateson) che ci permetta di porci alla giusta distanza dal caotico frastuono che ci circonda senza isolarci in una splendida solitudine ma, al contrario, restituendoci alla concretezza della realtà e permettendo di viverla in modo più consapevole.